Un libro: “Una cosa divertente che non farò mai più”

Ho fatto la mia conoscenza con questo scrittore straordinario, David Foster Wallace, un dì che facevo una delle mie sortite alla biblioteca di Castelnovo ne’ Monti. Mi aggiravo tra gli scaffali e fui attirata da un’edizione Einaudi con un titolo accattivante: “Brevi interviste con uomini schifosi”. Mi calamitò, e nelle settimane che seguirono mi addentrai nella sua lettura. Ora, sono passati un po’ di anni, e quello che mi rimane di quel libro è più che altro una sensazione: ricordo che pensai chiaramente che David Foster Wallace fosse un dannato drago della scrittura e, cosa che mi fece risentire un pochino, che con la sua bravura era capace di direzionare i sentimenti del lettore con la stessa facilità di qualcuno che sta facendo un forsennato zapping in tv. Un potere che, a mio parere, esercitava in quel libro con un cinismo raggelante. 

Detto questo la mia opinione su Wallace diventò circospetta se non addirittura guardinga… della serie, “occhei, sei in gamba, ma non mi dribblare il cervello a ‘sto modo che mi fai sentire, più che un essere umano, un miserabile ammasso di gelatina senziente.” 

Poi un mese fa dovevo farmi un bel viaggetto in treno, qualche ora o giù di lì di Pianura Padana e non stavo nella pelle perché avrei potuto alienarmi nelle pagine di un qualche buon libro. E mi capitò proprio il caro vecchio David con “Una cosa divertente che non farò mai più”. L’editore è Minimumfax e pubblicò questo testo la prima volta nel 1998 con la prefazione di Fernanda Pivano che presentava l’autore americano per la prima volta all’ignaro pubblico italiano. Da quel momento in poi David Foster Wallace approdò ai lidi letterari europei e certamente nell’Olimpo della letteratura contemporanea di cui è stato (ed è tuttora) esponente intelligente e spietato fino alla sua prematura scomparsa nel giugno 2007. 

“Una cosa divertente che non farò mai più” è un particolarissimo reportage della sua esperienza di sette giorni su una crociera extralusso ai Caraibi. A questo proposito venne inviato laggiù dalla rivista Harper’s. Wallace è poco più che trentenne, osservatore chirurgico e ossessivo; non si risparmia, si getta a capofitto nel clima irreale di questo viaggio organizzato, partecipando ad attività, dialogando con persone, riportandoci questo insano viaggio con il suo sguardo fine ed ironico. Questo autore ha un talento spiccato per riconoscere e raccontare la decadenza. Il risultato è un godibilissimo libro di nemmeno 150 pagine che, grazie al suo stile mai banale, delinea gli avvenimenti affiancandoli con riflessioni e aneddoti personali che difficilmente lasciano indifferenti (nel senso che qualche sonoro schiaffone lo tirano, ma ci sta tutto, bisogna accettarlo). L’ho trovato un testo onesto, divertente, malinconico e forse un po’ preoccupante. Ad ogni modo rappresenta senz’altro un tassello significativo per la conoscenza di ciò che è il dannato essere umano (per chi volesse ulteriori conferme…).

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