Ipertreno

Con una mano stringeva l’apertura della borsa. Il paesaggio scorreva fuori dal finestrino, ma lei non lo guardava. Sapeva che si trattava di un filmato ultradefinito proiettato per rilassare i passeggeri dell’ipertreno e non amava sottoporsi a quel tipo di menzogne. 

Una famiglia occupava il gruppo di sedili accanto. Il figlio maggiore avrà avuto sì e no quindici anni. Di certo non aveva memoria di ciò che veniva proiettato nel filmato, era nato già lì; forse quelli non erano nemmeno i suoi genitori, magari era uno di quei bambini delle “gestazioni meccaniche sperimentali” che venivano affidati ai geneticamente deficitari. Pareva stesse dormendo, ma era semplicemente assorto nei suoi pensieri; – uccidere il padre -, avrebbe detto qualcuno, ma non erano così chiari, erano un labirinto di passaggi che l’avrebbero condotto a un’emancipazione. 

“Che pianeta, Lanor!”. Lo diceva la pubblicità sulle brochure che venivano scaricate a chili all’ingresso dei condomìni sovraffollati nella vecchia Terra, agganciavano le speranze e le riplasmavano in forma di viaggio interstellare. 

Una donna avanti con l’età si compiaceva con sé stessa per aver compiuto quel passo, ma intanto il suo chiodo fisso era ancora quello di ambientarsi. Il marito aveva ottenuto un posto di guardiano nel museo di Archeologia Lunare. Lei aspirava a un impiego di governante in una famiglia con una posizione. 

Poco più in là una ragazza si raccontava bugie per tirare avanti. L’altoparlante annunciò la stazione successiva e lei si scosse aggrappandosi al suo modesto bagaglio; stavano arrivando a “Le Miniere”. La voce metallica continuò elencando le bellezze minerali di Lanor. Gli omicidi, così continuava il messaggio, erano diminuiti nell’ultimo anno del 100%. I suicidi invece erano in aumento vertiginoso, ma questo dato non veniva menzionato. La ragazza era stata esonerata dalla procreazione e la sera prima aveva brindato alla notizia con alcuni coetanei che aveva incontrato ai colloqui conoscitivi che organizzava l’anagrafe, sezione “Nuovi Cittadini”. In particolare una sua conoscente le aveva detto che “doveva ritenersi fortunata” dato che lei era obbligata a “sentirsi fortunata” per tutte quelle gestazioni che le squassavano il ventre. – Vedi -, le diceva in tono confidenziale indicandosi la frangetta brizzolata, – prima i miei capelli erano tutti neri e tra un mese ho un’altra inseminazione -; solo, era difficile accettare una vita senza obiettivi biologici, pensava la ragazza con lo sguardo incollato ai finestrini. Il filmato era ricominciato dall’inizio. 

L’uomo anziano che era salito alla fermata “Vecchio Spazioporto” era di certo uno dei primi ad essere approdati su Lanor. Ricordava il pianeta natio meglio di altri; la sua memoria era però edulcorata dal ricordo di quella che pensava fosse stata un’infanzia felice: la piscina di quartiere, le canzoni sulla navetta che portava lui e altri ragazzi alla mensa sopraelevata dove poteva vedere lei, la ragazza asiatica che invece non era partita. All’epoca era un giovanotto robusto con la fronte riccioluta e gli occhi umidi. Il nome: l’unica informazione che fosse mai riuscito a carpirle. Lo conservava ancora dentro di sé, dove erano entrambi immortali e sospesi nel tempo. 

Il capolinea si avvicinava e l’ipertreno si svuotava.

Due uomini malvestiti parlottavano tra loro. Erano due manutentori, avevano le mani e i visi sporchi di grasso sintetico. Uno diceva: – se fossi stato in te…-, e l’altro faceva: – se fossi vent’anni più giovane, forse… -, – Non potrei sopportarlo -,  – ma no, ma no… Ci si abitua a tutto… -. Si era iscritto al programma di “mutilazione volontaria”, ne aveva abbastanza di quella vita, si sarebbe trasferito in un Resort per mutilati. 

Sui finestrini iniziarono a scorrere alcune réclame. 

Qualcuno già ponderava di trasferirsi su un altro pianeta.