Il signor Keane

Piccola premessa: non avevo in programma di pubblicare così, oggi stesso, questo racconto che ho scritto oramai quattro anni fa. Ma quando ho visto la foto di quella macchina, mi ha portato proprio lì, in un luogo che avevo immaginato. E quindi ecco qui, dopo un po’ di sana fermentazione nell’hard disk un racconto di sicuro un po’ acerbo, ma a cui voglio molto bene. Buona lettura!

Ps. La foto in questione è visibile sul mio profilo IG @imac_obcy nella sezione “Epiphanies” delle storie in evidenza.

Il signor Keane

Da quando Laszlo Rospov non era più passato di lì, qualcosa era scomparso dai suoi pensieri. La vita andava verso altre direzioni: un po’ a destra, un po’ a sinistra. Non stava ferma. Lui aveva terminato un lungo periodo di apprendistato in una gelateria italiana, giù in centro, ed ora era stato assunto come apprendista gelataio in un’altra gelateria: “Da Artusi”. Si trovava bene? Aveva smesso di chiederselo. Aveva chiuso con un certo genere di domande. Era convinto che fosse il tormentarsi con certi tipi di domande a far venire il cancro. Non le sigarette, non il wi-fi o l’elettromagnetismo. Era un certo genere di domande che l’uomo poneva a sé stesso o, ancor peggio, discuteva con altri facendole oggetto di dibattito. Ecco, quella parola, quella sì che gli faceva venire un brivido di ribrezzo. La metropolitana si fermò fischiando alla stazione di Church Avenue che non si trovava sottoterra. Rospov sgusciò tra un paio di passeggeri che si scostarono malvolentieri. L’aria autunnale gli accarezzò il viso. C’era un odore dolciastro di crema anti-età. Infatti, un’anziana procedeva sul marciapiede dinnanzi a lui, andava nella sua stessa direzione, avanzava con cautela. Ella evitò con destrezza un mendicante senza le gambe che stava seduto a terra e porgeva il piatto ai passanti. Rospov infine la sorpassò ma, cosa che lo lasciò sorpreso, quell’odore non proveniva da lei: era come svanito nel nulla. L’anziana incrociò il suo sguardo quando la squadrò un’ultima volta prima di attraversare la strada. Gli occhi di lei erano due laghi ghiacciati con un’ombra grigia sotto. 

Essere un apprendista gelataio era un ottimo modo per lasciarsi alle spalle quell’idilliaca immagine dell’”omino dei gelati” che va in giro con il carretto per i quartieri a fare felici i bambini. Era più un mestiere che poteva assomigliare al chimico, ma con molta meno poesia. Poi c’erano i festivi e le ore di punta, quando lo mettevano a servire al banco quei meravigliosi impasti che preparava sul retro riempiendo delle specie di betoniere con latte, zucchero e polveri colorate. Gli avventori sembravano stanchi e senza vita. O era lui stesso ad esserlo? Ecco, un’altra domanda che era meglio lasciar perdere… 

Poi, un giorno un’auto color amaranto parcheggiò davanti alla gelateria. Era un’automobile vecchia, ma ben tenuta. Gli ricordava qualcosa che tra un cono alla crema e qualche coppetta bigusto non riusciva a contestualizzare. Tornava a casa la sera tardi e preferiva farla a piedi, il vento si era fatto freddo e alcune foglie graffiavano debolmente il selciato. Sentì un rumore alle sue spalle e poco dopo un’auto, quell’auto, gli passò accanto. Un rumore per niente estraneo. Un odore pungente di gasolio. Quand’era bambino e i suoi erano ancora vivi, abitavano in una casetta con giardino in un quartiere pieno di casette così. Non amava ricordare quel periodo felice principalmente perché non sarebbe mai più ritornato e questo fatto gli faceva montare dentro una tetra malinconia. Era difficile, però, dimenticarsi del signor Keane e della sua auto amaranto che teneva parcheggiata davanti alla sua abitazione. Il signor Keane era un veterano di guerra e aveva perso un occhio durante un’incursione in territorio nemico, un proiettile era rimbalzato e lo aveva colpito proprio lì; per questo motivo gli era stata ritirata la patente di guida ed egli aveva dovuto smettere di condurre la sua amata automobile. Spesso Rospov si era chiesto in che modo, esattamente, i proiettili rimbalzassero. Aveva ascoltato quella storia molte volte seduto accanto all’ex-soldato sul sedile anteriore della sua auto parcheggiata; il signor Keane doveva dire la verità, non cambiava mai versione. Ad un certo punto diceva che “aveva visto rosso e la paura lo aveva aggredito prendendo possesso di tutto il suo corpo”; era per questo che da quel punto in poi non ricordava più molto di ciò che accadde; e poi erano passati tanti anni.

Rospov ricordò che quell’auto fu indubbiamente la prima che lui mise in moto, da solo, sotto la supervisione del vicino di casa. Ed ecco che quell’odore di gasolio bruciato iniziò a far breccia nei suoi pensieri. “Ce l’hai fatta, Laz!” aveva gioito il signor Keane, era l’unico a chiamarlo a quel modo.

La gelateria Artusi stava all’angolo tra Indipendence Road e Postbury Lane. Il proprietario, un cinese di mezza età che si faceva chiamare Signor Po ostentava sempre una certa calma, ma Rospov sapeva benissimo che gli rodeva per come giravano bene gli affari alla gelateria di Kotterton Avenue, che si trovava a nemmeno cinquecento metri da lì. Era stato assunto un aiutante. Ora la gelateria non chiudeva praticamente mai. 

Fu una certa mattina, era passato del tempo e per la strada alcuni operai stavano mettendo su gli addobbi di Natale, che Rospov si mise a camminare senza meta. Era una bella sensazione avere la giornata libera. C’era quel tipo di aria che presagisce la neve, cosa rara in quella città, ma non impossibile. Si fermò in un caffè a bere un bicchiere di latte caldo, lo sorbì lentamente, osservando attraverso i vetri il viavai della strada. Poi si pulì le labbra e continuò con la sua passeggiata. Il quartiere dove era cresciuto era più o meno come una volta, solo un po’ più triste, era invecchiato male. All’improvviso si ricordò di quando non prendeva la metropolitana per andare al lavoro, la tratta in superficie fino a Church Avenue era stata inaugurata qualche anno prima. Di solito andava a piedi, per cui doveva svegliarsi almeno un’ora prima. Passava su quel ponte, White Bridge. Ora, da dove si trovava poteva vederlo distintamente, era vicino e sovrastava il vecchio quartiere. E da lì, ogni mattina, la vedeva: la vecchia automobile del signor Keane parcheggiata allo stesso identico posto da almeno trent’anni. Come aveva fatto a dimenticarsene? Poi, d’un tratto, le fu davanti. Aveva le gomme a terra, erano scolorite, piene di venature come le gote flosce di una vecchia. Alcune foglie erano come appollaiate sui tergicristalli. 

Il signor Keane doveva aver smesso di badarci così come faceva un tempo. Anche se non la guidava più, la puliva, la accendeva, ci faceva un poco di gasolio andando a piedi con la tanica al distributore a un paio di isolati di distanza. Rospov guardò quell’auto con tenerezza. Non somigliava affatto a quella che mesi addietro si era fermata davanti alla gelateria Artusi né tantomeno a quella che gli era sfrecciata accanto nella notte.

“Laszlo? Sei proprio tu?” 

Una voce familiare lo fece voltare di scatto; una donna anziana con un abito nero e il trucco sbavato dalle lacrime gli si avvicinò malferma traballando su dei tacchi a spillo. Era la signora Keane. Rospov non riuscì a parlare, preferiva il silenzio alle parole. La donna si appoggiò al cofano e si accese una sigaretta, poi gliene offrì una, lui accettò. Fumarono mentre lei con una mano accarezzava la carrozzeria malconcia dell’automobile. Quando finirono la sigaretta sembrava non ci fosse più molto da fare, o da dire. Si guardarono negli occhi e lei abbozzò un sorriso. 

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