Un libro: Panino al Prosciutto

Avevo in mente di scrivere qualche riga su qualche libro che mi è piaciuto. Ieri ne ho finito uno e mi sono detta: perché non iniziare proprio con questo? Premetto che non ho alcuna intenzione di scrivere recensioni, né di incensare o smerdare questo o quel libro…cioè è difficile che io mi imponga di finire un libro se non mi appaga leggerlo (non siamo mica obbligati a sorbirci le robe che scrive qualcuno se ci non dà piacere farlo, no?) e in definitiva la mia idea era giusto quella di fornire uno spunto a chi fosse a caccia di un libro condividendo semplicemente la mia esperienza di lettrice.

paninoalprosciutto

Questo libro si fa leggere tutto di un fiato, periodi brevi, una mitragliatrice di parole che lasciano il segno, a tratti fanno anche inorridire. Parzialmente autobiografico, narra le vicende di Henri Chinaski, prima bambino, poi adolescente e uomo, nella Los Angeles della seconda metà degli anni ’30 fino a giungere all’entrata in guerra degli Usa nella seconda guerra mondiale. Henri, nato in Germania e poi emigrato negli Usa, vive con una famiglia il cui padre si appiglia con tutte le sue forze al sogno americano, alla sua idea di felicità, ad una ricchezza impossibile e ad un appagamento illusorio proiettando le sue aspettative su un figlio di tutt’altra sensibilità che deve scontare la pochezza e le angherie familiari e la ruvida realtà della Grande Depressione annacquata dalle bugie e dalle promesse infrante della classe dirigente con le quali la sua generazione è stata cresciuta per diventare un’esercito di animali da soma svolgendo quello che viene chiamato “un’onesto lavoro” e diventare poi carne da macello durante la guerra. L’alcool rappresenterà per lui una via fuga, una porta sul retro affacciata su un vicolo malfamato, non gli darà felicità, ma lo terrà almeno lontano da quell’aberrante normalità che le persone comuni chiamano vita. Personalmente ho apprezzato molto questo libro, alcuni hanno definito Bukowski un esponente del cosiddetto “realismo sporco”, ma non è forse vero che quando si vuole parlare francamente si fa appello alla “sporca realtà”?

 

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